Gli infermieri sono gentili, cortesi, disponibili all’ascolto, mostrano vicinanza, comprensione e anche emozioni. Peccato siano troppo pochi per rispondere a tutte le richieste che ricevono.
È questo l’identikit degli infermieri disegnato dai cittadini che li apprezzano e li stimano anche perché forniscono a pazienti e parenti informazioni chiare e comprensibili dando loro sicurezza durante l’assistenza. E così chiedono che venga potenziata la loro presenza nelle corsie ospedaliere per evitare che i carichi burocratici, che quasi un paziente su due vede pesare eccessivamente sugli infermieri, incidano negativamente su qualità e sicurezza delle prestazioni. Non solo in ospedale. I pazienti chiedono anche più infermieri sul territorio, tant’è che i cittadini vorrebbero avere la possibilità di poter scegliere un infermiere di famiglia/comunità come si fa col medico di medicina generale, trovare gli infermieri nella farmacia dei servizi, avere la possibilità di consultarli in determinati casi come il trattamento di ferite e lesioni cutanee e averli disponibili anche nelle scuole, per bambini e ragazzi che ne potrebbero aver bisogno.
Ma gli infermieri – che amano la propria professione convinti sia interessante e importante, nonostante si sentano bistrattati dal punto di vista economico e non vedano, ora come ora, grandi possibilità di carriera – sono veramente troppo pochi: ne mancano, infatti, almeno 20mila in ospedale, ai quali se ne dovrebbero aggiungere almeno altri 30mila se si vuole rendere efficiente l’assistenza continua sul territorio. E la vera criticità è che il loro numero, come d’altro canto quello di tutte le professioni sanitarie, continua a calare ogni anno a causa dei tagli alle spese a cui sono costrette le Regioni e così dal 2009 al 2016 si sono persi oltre 12mila professionisti.
E così, sempre più contingentati, sono costretti a turni massacranti, il lavoro di domenica è quasi la norma, i turni di notte sono frequenti anche più volte durante ogni settimana. Soprattutto hanno poco tempo per stare veramente vicino al paziente, non riuscendo sempre a dare in caso di ritardi o problemi organizzativi informazioni e aggiornamenti ad esempio sui tempi di attesa, o a trovare il tempo per educare pazienti e familiari a gestire patologie e trattamenti, e in tutti gli ambiti: a domicilio, sul lavoro, nel tempo libero).
E sono meno della metà quelli che sono riusciti a valutare e soddisfare tutti i bisogni assistenziali, compresi quelli psicologici e sociali, che hanno potuto organizzare il calendario di eventuali successive visite ed esami o che sono riusciti a fornire orientamento per l’accesso a eventuale altri servizi, garantendo la continuità tra ospedale e territorio.
Sono questi gli scenari emersi al primo Congresso nazionale della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), il nuovo Ordine nato dalla legge Lorenzin, che si chiude oggi a Roma all’Auditorium Parco della Musica. Una kermesse che vede la partecipazione di oltre 3.500 infermieri e nel corso del quale sono stati presentati i risultati dell’Osservatorio civico sulla professione infermieristica, promosso da Cittadinanzattiva-Tdm insieme alla Fnopi. Un’indagine che ha avuto l’obiettivo di raccogliere l’esperienza dei cittadini nel loro rapporto con la figura professionale dell’infermiere e individuare in modo condiviso i nodi critici e le azioni di miglioramento sui quali lavorare tutti insieme.
Sono stati così coinvolti 1.895 cittadini intervistati nelle 34 sedi territoriali del Tdm in 15 Regioni, attraverso la collaborazione di Aislec, Alice Italia, Amri, Animo, Asbi, Associazione Pazienti Bpco, Fnopi Roma, Gft (Gruppo Formazione Triage) e Uildm.
I dati emersi parlano chiaro, gli infermieri hanno avuto conferme sulla loro professionalità e sull’espletamento del loro compito principale di “prendersi cura”, ma anche sul fatto che gli organici ridotti ormai da anni di razionalizzazioni e tagli non vanno, tolgono loro la vicinanza coi cittadini e, soprattutto, non consentono di essergli accanto sul territorio, in continuità con l’ospedale. Ma in generale mancano professionisti in sanità.
Le proposte degli infermieri per uscire dall’impasse. A mancare, però, è soprattutto un serio ed equilibrato rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso lo sviluppo delle competenze. Per questo, gli infermieri della Fnopi chiedono, come ha sottolineato Barbara Mangiacavalli, Presidente della Fnopi, “che si riesca ad aumentare rapidamente il rapporto infermieri medici per accompagnare l’evoluzione dei bisogni e migliorare appropriatezza e sostenibilità del sistema, soprattutto nelle Regioni in cui demografia ed epidemiologia rendono il gap bisogni offerta più ampio”.
E per realizzare l’obiettivo, sottolinea quindi Mangiacavalli, è necessario: “Definire target espliciti di rapporto infermieri medici da raggiungere entro periodi determinati. Attualmente il rapporto medici infermieri è costante nel tempo, ma perché segue le carenze progressive delle due professioni. il rapporto infermieri medici in ospedale è passato ad esempio da 2,48 del 2010 a 2,52 del 2016. E ancora, accompagnare i cambiamenti con azioni (sperimentazioni, formazione, trasferimento di esperienze) che aiutino l’evoluzione del sistema verso una minore densità medica”.
La ricetta è anche quella dello skill-mix, ovvero modifica nel perimetro di attribuzione delle competenze tra medici e altre professioni sanitarie, in particolare quella infermieristica, descritta nell’ultimo Rapporto Oasi 2017 di Sda Cergas Bocconi. “Una interazione necessaria secondo il Cergas – sottolinea la Presidente Fnopi – come dimostra anche l’analisi delle esperienze internazionali, in cui si vede come politiche di modifica dello skill mix siano sempre più frequenti e come, sebbene diffuse principalmente a livello di assistenza primaria, sempre più si stiano estendendo anche al mondo delle cure per acuti”.
“Per i cittadini il lavoro svolto dagli infermieri è decisamente positivo e anche per questo li considerano una risorsa sulla quale il Ssn può e deve investire di più al fine di garantire maggiore accesso, qualità e sicurezza delle cure – ha dichiarato Tonino Aceti, Coordinatore Nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva – Servono più infermieri, in particolare nei servizi sanitari territoriali, più tempo dedicato all’assistenza e meno alla burocrazia. Ma soprattutto serve che anche le Istituzioni riconoscano sempre di più le competenze e il contributo che la professione infermieristica può garantire all’innovazione organizzativa e quindi alla sostenibilità del Ssn. Blocco del turn over, blocco dei contratti, tempari e minutaggi sono state le principali leve del governo del personale sanitario del Ssn messe in atto in questi anni – prosegue Aceti – ma che ora bisogna superare se si vuole dare risposte ai bisogni e alle criticità segnalate dai cittadini. È necessario che nel disegno dell’organizzazione dei servizi sanitari e nella progettazione e implementazione delle tecnologie sia garantito il coinvolgimento dei professionisti sanitari e dei cittadini, al fine di ridurre il rischio di inefficienze e aumentare le capacità di risposta del sistema. Anche se i risultati di questo Osservatorio Civico ci restituiscono una bella fotografia del lavoro svolto dagli infermieri – ha concluso Aceti – l’obiettivo è mettere a punto ed attuare le azioni di miglioramento necessarie. Proprio su questo si concentrerà l’impegno e la collaborazione, già nelle prossime settimane, tra il Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva e la Fnopi”.
Ma vediamo quali sono in sintesi i dati emersi.
Cosa pensano i cittadini… In 4 casi su 5 i cittadini riconoscono facilmente gli infermieri tramite elementi identificativi e vedono tutelata la propria privacy nel 70% delle situazioni. Gentilezza e cortesia durante l’assistenza viene riferita nell’88% dei casi, mentre valori più bassi si riscontrano su “empatia” e disponibilità all’ascolto che comunque si riscontrano nel 72% dei casi. Solo 1 infermiere su 5 non ha dedicato il tempo necessario per informare e rispondere ad eventuali domande del cittadino/paziente contro l’80% degli infermieri che ha fornito informazioni chiare e comprensibili. Prima di esami, terapie e trattamenti, il professionista ha spiegato cosa stava per fare nel 72% dei casi e, di fronte a ritardi o problemi organizzativi, nella metà delle situazioni ha informato per tempo e aggiornato il cittadino.
Fuori dall’ospedale, circa 3 cittadini su 5 affermano di essere stati supportati dall’infermiere a gestire la patologia ed i trattamenti, riferendo inoltre, in almeno 1 caso su 2, come il professionista abbia organizzato il calendario delle visite e dei successivi esami (55%). C’è ancora da lavorare sulla formulazione del piano di assistenza mirato alla persona e ai suoi bisogni che, in quasi 2 casi su 5 (39%), non vede protagonista attivo l’infermiere.
Poco meno della metà dei cittadini conferma che l’infermiere di riferimento si è attivato per fornire orientamento nell’accesso ad eventuali altri servizi, garantendo continuità di assistenza tra ospedale e territorio. Più in generale 1 infermiere su 2 (54%) risponde ai bisogni assistenziali della persona, compresi quelli psicologici e sociali. Il 65% circa dei cittadini constata come l’infermiere abbia lavorato in modo coordinato ed integrato con medici ed altri professionisti sanitari, tuttavia viene segnalato che quasi 1 infermiere su 4, indagata la presenza di dolore, non si è coordinato con altri professionisti, per gestirlo in modo tempestivo.
Durante l’assistenza infermieristica, quattro su cinque si sentono molto o abbastanza sicuri; mentre resta un 17% circa che non ha avuto questa stessa sensazione. Il 52% circa dei cittadini, inoltre, reputa insufficiente il numero degli infermieri e ne chiede un potenziamento per evitare che i carichi burocratici, che quasi un paziente su due vede pesare eccessivamente sugli infermieri, incidano negativamente su qualità e sicurezza dell’assistenza.
Più infermieri sul territorio: 3 cittadini su 5, ovvero il 78% riterrebbe utile poter scegliere e disporre di un infermiere di famiglia come si fa con il medico, in particolar modo (80%) per poterlo consultare in caso di lesioni da decubito. Infine, l’84% accoglierebbe volentieri un infermiere nei plessi scolastici.
Cosa sanno i cittadini degli infermieri. Gli intervistati sono consapevoli (79% circa) che per diventare infermiere occorre la laurea; circa uno su due (53%) sa che si tratta di una professione sanitaria che opera in autonomia e non più ausiliaria di quella medica. Buona la conoscenza dell’infermiere che opera in ambito palliativo, preventivo, curativo e riabilitativo (71%) così come l’83% sa che tra le competenze infermieristiche c’è anche quella di valutare la gravità del caso e assegnare il codice di priorità al Pronto Soccorso. Tra le competenze dell’infermiere che si conoscono meno ci sono: educazione sanitaria (44%); supporto all’autogestione delle persone con malattie croniche/rare (37%); supporto per l’aderenza alle terapie (32%); orientamento ai servizi (44%).
Gli infermieri dal canto loro amano la propria professione, ma non dal punto di vista economico e sono convinti che la professione sia interessante e importante, ma non vedono grandi possibilità di carriera allo stato attuale delle cose.
… Cosa pensano gli infermieri. I “voti” alla professione secondo un’analisi condotta sui dati della Rilevazione delle forze lavoro (Rclf) dell’Istat, sono tra i più alti di tutte le professioni, anche se nella loro attività regnano i turni e non quelli normali e per la maggior parte delle professioni (non sanitarie) limitati, soprattutto quelli notturni e festivi: tra gli infermieri il lavoro di domenica è quasi la norma, e tocca il 68,3% nei servizi ospedalieri e tra gli infermieri dei servizi ospedalieri ben il 57,8% afferma di aver lavorato di notte nelle ultime 4 settimane e il 44,4% per 2 o più volte ogni settimana.
Per quanto riguarda la soddisfazione per le possibilità di carriera, nel complesso i punteggi non sono elevati in tutte le professioni (la media totale è 6). Gli infermieri sono meno soddisfatti della carriera rispetto ai medici (6,3 contro 6,7 nei servizi ospedalieri, ma 6,4 rispetto a 6,2 in altri comparti di sanità e assistenza), ma lo sono di più rispetto alla media delle professioni (tutte tra 5,9 e 6).
Eppure attualmente l’85% delle aziende nel privato e i l’84% nel pubblico investe in ruoli dirigenziali per gli infermieri. L’88% delle aziende individua competenze specialistiche distintive per gli infermieri (100% delle private e 85% delle pubbliche). Il 57% delle aziende ha selezionato infermieri in aree di responsabilità organizzativo gestionale “contentibili” con altre professioni (54% delle aziende private e 57% di quelle pubbliche) con compiti che vanno dalla gestione della qualità al risk management, dal bed management all’operation management fino alla conduzione di team multiprofessionali e, nel pubblico, anche incarichi di direzione di unità operative come i consultori e i distretti o anche la direzione sociosanitaria aziendale.
Vista la situazione però gli infermieri parlano chiaro: mancano professionisti in sanità, mancano anche gli infermieri. Tutte le professioni lanciano il loro grido di allarme, nessuno si sottrae. A mancare, però, è soprattutto un serio ed equilibrato rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso lo sviluppo delle competenze.