Farmaci. L’effetto “nocebo” esiste. E fa anche male

Uno studio dell’Imperial Collega di Londra, pubblicato da The Lancet, mette in evidenza come i pazienti informati sugli effetti collaterali di un farmaco siano coloro che lamentano maggiormente questi disturbi

A cura di Redazione Farmalavoro

(Reuters Health) – Gli effetti collaterali si verificano maggiormente tra i pazienti informati? Secondo uno studio dell’autorevole Imperial College di Londa, pubblicato da The Lancet, sembra proprio che sia così. È l’effetto “nocebo”.”Si tratta di un fenomeno conosciuto da molti anni – dice Peter Sever, autore principale dello studio – Quando i pazienti vengono avvertiti di possibili effetti collaterali di un farmaco, sono molto più propensi a lamentarsi della loro comparsa. Se invece non vengono informati, le segnalazioni sono meno frequenti”.

Lo studio
Per testare questo effetto nocebo, i ricercatori hanno somministrato, in modo casuale, una statina per abbassare il colesterolo o un placebo a circa 10.000 partecipanti di Regno Unito, Irlanda e Scandinavia. Nei tre anni successivi sono state registrate le lamentele espresse dai pazienti nei confronti dei quattro effetti collaterali più frequenti delle statine: dolori muscolari, disfunzione erettile, problemi di sonno e disfunzione cognitiva. Le lamentele per quanto riguarda la disfunzione erettile e i dolori muscolari sono risultate simili per frequenza sia nei pazienti che prendevano statine, sia in quelli trattati con placebo. Chi assumeva placebo si lamentava invece con maggiore frequenza di disturbi del sonno rispetto a chi prendeva statine. Ma quando i medici hanno prescritto statine a tutti pazienti, chi conosceva il farmaco ha lamentato più spesso dolori muscolari rispetto a coloro che avevano deciso di non assumere quei farmaci per un periodo di circa due anni. “Questo non è un fenomeno unicamente associato alle statine”, precisa Sever. “Può accadere con qualsiasi medicina”.

Tutti i partecipanti allo studio avevano un’età compresa tra i 40 e i 79 anni, erano ipertesi e avevano almeno altri tre fattori di rischio per malattie cardiache. All’inizio dello studio non erano in terapia con statine e l’anamnesi pregressa era negativa per attacchi cardiaci. Durante la prima fase dello studio, dal 1998 al 2002, i pazienti non sapevano se assumevano una statina o un placebo. Nella seconda parte dello studio, dal 2002 al 2005, ogni persona sapeva di prendere una statina. Ogni anno il 2% dei pazienti trattati con placebo e il 2,03% di coloro che facevano uso di statine hanno riportato dolori muscolari, una differenza troppo piccola per escludere la possibilità che fosse dovuta al caso. Ma poi, durante la seconda parte dello studio, l’1.26% dei pazienti che assumevano statine ha riportato dolori muscolari rispetto all’1% del gruppo placebo. Questa differenza era troppo grande per essere solo casuale.
 
I commenti
Una limitazione dello studio è da identificarsi nella scarsità di casi di compromissione cognitiva. Ciò ha impedito di valutare l’effetto della conoscenza del farmaco da parte dei pazienti sulle segnalazioni di questo effetto collaterale. “Lo studio offre una visione chiara di come l’aspettativa di effetti collaterali possa rendere più probabile la loro percezione da parte dei pazienti”, dice Ian Kronish, del Center for Behavioral Cardiovascular Health at Columbia University Medical Center di New York, nono coinvolto nello studio.
 
“Nello specifico delle statine, non è emerso chiaramente se una convinzione pessimistica possa innescare una reazione biologica che determina dolori muscolari, o se induca le persone a colpevolizzare le statine quando insorgano algie muscolari provocate invece da altre cause” aggiunge Kronish. “L’effetto nocebo non è innocuo”, scrivono in un editoriale di accompagnamento Juan Pedro-Botet e Juan Rubies-Prat dell’Ospedale del Mar di Barcellona. “Può condurre i pazienti a non prendere regolarmente la medicina o a eliminarla definitivamente, con conseguente rialzo del rischio di attacchi cardiaci e cerebrali anche mortali. Per questo motivo i medici devono essere pienamente informati sul potenziale effetto ‘nocebo’ e discuterne con i pazienti”.

 

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