Stop all’utilizzo di apparecchi per l’autodiagnostica al di fuori delle farmacie. È quanto stabilito dalla sentenza n. 66/2017 della Corte Costituzionale che ha accolto il ricorso della presidenza del Consiglio dei Ministri nei confronti della legge regionale del Piemonte n. 11/2016. La disciplina regionale interveniva nel contesto della Farmacia dei servizi, introdotta con il dlgs n. 153/2009.
La norma regionale piemontese è stata bocciata laddove estendeva “agli esercizi di vicinato e alle medie e grandi strutture di vendita la possibilità di effettuare talune prestazioni analitiche di prima istanza” (rilevamento di trigliceridi, glicemia e colesterolo totale). Per la Corte, “la norma regionale impugnata, amplia il novero degli esercizi commerciali abilitati ad effettuare dette prestazioni analitiche, includendovi quelli a cui la legislazione statale permette solo la vendita di talune ristrette categorie di medicinali (parafarmacie e corner, ndr.), ponendosi così in chiaro contrasto con l’interposta legislazione statale”, che, precisa la Consulta, “limita la possibilità di effettuare le prestazioni analitiche di autocontrollo (nelle quali rientrano quelle contemplate dalla disposizione regionale impugnata) alle sole farmacie convenzionate con il Ssn”.
Nel dispositivo viene poi evidenziato come: “La giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che i criteri stabiliti dalla legislazione statale relativi all’organizzazione dei servizi delle farmacie costituiscano ‘principi fondamentali’ in materia di tutela della salute, in quanto finalizzati a garantire che sia mantenuto un elevato e uniforme livello di qualità dei servizi in tutto il territorio, a tutela di un bene, quale la salute della persona, ‘che per sua natura non si presterebbe a essere protetto diversamente alla stregua di valutazioni differenziate, rimesse alla discrezionalità dei legislatori regionali'”.
Nel caso in esame, la Consulta ha invece dichiarato “non fondata” la questione riguardante la novazione della fonte sollevata da Palazzo Chigi: “La Regione – si spiega nel dispositivo – non si è appropriata dei principi stabiliti dalla legge statale e riservati alla competenza di quest’ultima, riproducendone i contenuti nell’atto legislativo regionale. Piuttosto, nell’esercizio della sua competenza legislativa concorrente, la Regione ha richiamato i principi fondamentali della materia desumibili dalla legislazione statale vigente, precisando gli estremi della normativa statale di riferimento alla quale è tenuta ad adeguarsi. Sicché, nel caso di specie, non può ritenersi correttamente evocato il tema della novazione della fonte, né possono ritenersi applicabili i principi stabiliti dalla giurisprudenza di questa Corte, che riscontrano un vizio di illegittimità costituzionale nelle leggi regionali ripetitive di contenuti di leggi dello Stato, espressive di una competenza riservata a quest’ultimo, a prescindere dalla conformità o dalla difformità della legge regionale a quella statale. Un intervento di adeguamento della disciplina regionale ai principi fondamentali contenuti in norme statali sopravvenute, come quello disposto dalla legge della Regione Piemonte, va considerato pienamente legittimo”.