Prevedere oggi meccanismi che impatteranno domani, anticipando le dinamiche future mediante oculate politiche di programmazione. E’ il senso del progetto pilota, coordinato dal ministero della Salute, in collaborazione con Agenas e che ha coinvolto Regioni, Università e Ordini professionali e presentato oggi a Roma al ministero della Salute nell’ambito del convegno ‘Il fabbisogno dei professionisti sanitari nei prossimi 20 anni: l’esperienza italiana nell’ambito del progetto europeo’.
Il progetto è in corso di invio alla Stato-Regioni e se condiviso potrebbe anche essere usato da subito per la determinazione del fabbisogno di nuovo personale dopo l’entrata in vigore dell’orario di lavoro europeo, come previsto dalla legge di stabilità per dare il via alle nuove assunzioni.
Il lavoro, avviato a gennaio 2015 e terminato ad aprile 2016, si inserisce nella cornice della Joint Action europea ‘Health Worforce Planning and Forecasting’. Obiettivo specifico del progetto pilota in Italia è pervenire, per le cinque professioni oggetto del progetto comunitario (medici,odontoiatri, farmacisti, infermieri e ostetriche), ad una metodologia comune di determinazione dei fabbisogni concordata e utilizzata da tutti gli stakeholder che partecipano al processo, tra cui un ruolo primario hanno le regioni oltre che le Federazioni degli Ordini e Collegi professionali.
“Partendo dalle raccomandazioni e dalle buone pratiche del modello europeo, in questi mesi, insieme gli stakeholders, abbiamo lavorato su alcune dimensioni chiave per la determinazione del fabbisogno legate in particolare – spiega Rossana Ugenti, direttore generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane presso il ministero della Salute – alla proiezione nel futuro dello stock attuale di professionisti sanitari. Abbiamo, infatti, definito un modello di natura ‘quantitativa’ che permette di stimare il numero di professionisti sanitari che saranno attivi nel mercato del lavoro nei prossimi 20 anni, tenendo conto di una serie di variabili e di flussi in entrata e in uscita. Il modello proposto prevede la formulazione delle ipotesi sui flussi di ingresso da formazione necessari a soddisfare la domanda, tenuto conto dello stock esistente e dei professionisti già formati e non ancora attivi”.
Nel settore della sanità – osservano Paolo Michelutti e Annalisa Malgieri, coordinatori del progetto – “più che in altri settori del lavoro, le risorse umane sono una risorsa importante sia perché si tratta di un settore ad alta intensità di manodopera sia perché la salute delle persone è, per definizione, un problema non negoziabile e sensibile”.
Altra peculiarità del comparto risiede nella formazione che può richiedere da 3 a 10 anni. “Questo è un periodo medio-lungo che condiziona il lasso di tempo della pianificazione e il relativo processo decisionale: è necessario decidere oggi quanti e quali operatori sanitari sono necessari tra 10 anni. In altri termini, in un mercato del lavoro sanitario ‘chiuso’ ci vogliono molti anni per rispondere con l’offerta alle variazioni della domanda”.
Sotto il profilo metodologico, il lavoro è stato declinato su due canali: da un lato tutte le attività di progettazione, la raccolta dei dati e le simulazioni che hanno prodotto le previsioni future di personale; dall’altra parte il coinvolgimento dei portatori di interesse che hanno discusso e implementato il modello di pianificazione, la struttura di previsione ed i risultati. Nella sua attività il team di progetto è stato affiancato da un comitato direttivo composto da almeno un rappresentante di tutte le Regioni e Province autonome, dai rappresentanti delle cinque professione oggetto del progetto, da rappresentanti del Miur, del ministero dell’Economia e delle Finanze, dell’Istituto nazionale di Statistica, del Co.Ge.APS (Consorzio per la gestione Anagrafe delle Professioni Sanitarie), dell’Enpam.
Il primo step ha riguardato la conoscenza della situazione attuale del personale sanitario, sulla base di alcune domande chiave: quanti operatori sanitari stanno lavorando ora nel sistema sanitario? Qual è la loro età? Quanti operatori sanitari non lavorano ma sono disponibili per soddisfare la domanda attuale e futura?
L’analisi rileva che il 68% dei medici è in attività, una percentuale che sale al 76% se si considerano coloro che sono attualmente in formazione presso le scuole di specializzazione. Gli infermieri attivi sono invevce il 91% del totale, le ostetriche l’82%, gli odontoiatri l’83% e i farmacistil’86%. Il lavoro fotografa anche la porzione di attivabili, cioè di coloro che oggi non lavorano ma che sono disponibili per soddisfare la domanda attuale e futura: il 3% dei medici, nessuno tra gli odontoiatri, il 6% dei farmacisti, il 4% degli infermieri e l’8% delle ostetriche.
Il passaggio successivo è stato dedicato alla formulazione di previsioni future. Sul fronte della domanda la fotografia della situazione attuale, come la sua proiezione futura, è stata definita mediante l’indicatore ‘numero di professionisti per 1000 abitanti’. Da ciò ne sono derivati i flussi in uscita per le 5 professioni nei prossimi 25 anni. Nel 2030 solo il 42% dei medici che oggi lavora sarà ancora attivo professionalmente, il 68% degli infermieri, il 49% degli odontoiatri, il 75% sia per i farmacisti che per le ostetriche. Nel 2040 lo scenario ipotizza un calo al 23% per i medici, al 34% per gli infermieri, al 30% per gli odontoiatri, al 53% per i farmacisti e al 58% per le ostetriche.
Lo studio ha quindi effettuato due proiezioni di domanda e offerta per i medici e i farmacisti, simulando uno scenario a ‘zero ingressi formativi’,cioè ipotizzando nessuna iscrizione ai corsi di laurea dal 2016/17 in avanti. Nel primo caso dal 2023 tutti i neolaureati verrebbero immediatamente assorbiti, mentre la quota di attivabili (in cerca di occupazione) si esaurirebbe nel 2027. E la curva dell’offerta scenderebbe definitivamente sotto quella della domanda a partire dal 2023. Nel caso dei farmacisti, nonostante il blocco delle immatricolazioni, gli attivabili continuerebbero ad aumentare fino al 2022 e non si esaurirebbero sino al 2040, anno in cui la curva della domanda e quella dell’offerta finirebbero per incontrarsi.
E, come evidenziato recentemente dalla stessa Fofi, proseguendo lungo questa strada tra 20 anni circa 63mila farmacisti si troveranno disoccupati. Per gli odontoiatri, invece, il trend sarebbe invece opposto in quanto nel 2036, applicando lo stesso scenario si concretizzerebbe una carenza di 30mila unità.
Un’altra simulazione ha riguardato invece un esempio di proiezione futura di domanda di infermieri (in crescita, da 6 infermieri per mille abitanti a 7 infermieri per mille abitanti) e offerta di infermieri in uno scenario che prevede ingressi ai corsi di laurea in infermieristica costanti negli anni (15.000 ingressi): le curve della domanda e dell’offerta collimerebbero nel 2040.
Infine il caso relativo ai medici con una proiezione futura di domanda in diminuzione (da 4,3 medici per mille abitanti a 3,9 medici per mille abitanti) e offerta di medici in uno scenario che prevede ingressi ai corsi di laurea in medicina e chirurgia costanti negli anni (circa 9.000 ingressi): nel 2040 l’offerta supererebbe la domanda di circa 30mila unità.
Nel complesso, sottolineano i coordinatori del progetto pilota, tutte le attività di pianificazione richiedono di impostare gli obiettivi da raggiungere. Se nessun target è stabilito, il rischio è quello di “girovagare” senza raggiungere risultati utili, così sprecando tempo e denaro. Ma è fattibile perseguire obiettivi a lungo termine inerenti lo sviluppo del personale sanitario? Quali sono le dimensioni di base da prendere in considerazione? Il consenso delle parti interessate sugli obiettivi è necessario? Per avere maggiori possibilità di successo un obiettivo deve essere specifico (s), misurabile (m), limitato nel tempo (t), realizzabili (achievable -a) e realistico (r). In altre parole, l’obiettivo dovrebbe essere S.M.A.R.T.